Lo spirito dell’esploratore viene fuori nella difficoltà: se tutti i fossi che uno trovasse ed aprisse fossero posti meravigliosi, gli esploratori si conterebbero a decine. Se invece la maggior parte delle volte e del tempo si tratta di ravanare in posti infidi, in spinai interminabili, si compie una sorta di selezione naturale: solo gli individui più motivati trovano la ispirazione per continuare; i più testardi, a dispetto delle esperienze contrarie, ripetono nuovamente i medesimi errori, trovando nuovi posti infidi e spinai da attraversare. Una mente sana, di fronte ad una ripetuta conferma delle esperienze negative, si fermerebbe. Un matto od un esploratore no, perché la sua mente contorta è mossa da una molla tutta interiore, che lo spinge, nonostante tutto, ad una coazione a ripetere. Poi, ogni tanto, tra centinaia di roveti, appare la Forra, l’Orrido mille notti sognato: ma neanche questa sarà la sua volta, il Fosso di San Michele può essere annoverato tra gli spinai da dimenticare.


L’attacco del fosso non è poi male, affacciato sulla valle del Turano, l’eremo di San Michele assiste alla nostra entrata nel greto.

Ancora ignari di quello che ci attende (ancora adesso, che digito sulla tastiera del portatile, mi tolgo qualche spina dai polpastrelli), scendiamo fiduciosi.

I 500 metri di dislivello e qualche fascia di roccie da superare ci significano che qualcosa di interessante dovremmo trovare.


Il torrente, nella sua discesa, intercetta svariate sorgenti, e l’acqua inizia a scorrere sempre più copiosa, ma mai fastidiosa.


Il sottobosco inizia ad infittirsi…


L’ultima cascatella, da qui in avanti sarà uno spinaio continuo per qualche centinaio di metri di dislivello e qualche ora di smadonnamenti.


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